lunedì 16 febbraio 2015

Distance vs Time on feet: una riflessione personale

Eccoci qua. E visto che questo weekend sono rimasto a riposo mezzo segato da mal di gola e sintomi influenzali assortiti, per una volta niente recap settimanale, niente immagini di panorami epici, niente selfies o foto al monitor del Garmin (vabeh, quelle non le metto mai: se mai cominciassi, rinchiudetemi). 

Bene, visto che con questa premessa mi sono così assicurato che i miei 6 lettori siano scesi già a 2 (forse), posso cominciare a parlare di un argomento, diciamo così, "teorico", che però mi sta molto a cuore, e del quale ho già forse accennato in qualche post precedente. Ovverosia, il confronto-rapporto tra distanza percorsa (potrei metterci dentro pure la grandezza "passo/velocità", ma magari questa la tengo buona per un'altra volta) e tempo sulle gambe, in tutte le sue declinazioni possibili. Lo spunto mi è stato dato per altro da un paio di scambi dialettici veloci con alcuni amici e compagni di corsa.

Partiamo da un presupposto. Siete ancora in tempo per evitarvi di ciucciarvi tutta questa minestra, prendendovi un testo di riferimento a caso dell' Anna Amalia del trail running (così a caso: Powell, Koerner o la spettacolosa e sempre attuale Guide to Trail running di Adame Chase e Nancy Hobbs). Non scrivo nulla di nuovo, anzi. Semplicemente, desidero riportare uno spaccato della mia personale esperienza con la materia, maturata in questi anni di trail running e ancor più recentemente in questi mesi di cammino verso SDW.

L'oggetto del contendere è in sostanza cercare di capire quale dei sopracitati fattori (ripeto un'ultima volta: distanza percorsa e tempo trascorso a girare) sia "più importante" (detta in maniera molto facilona) quando ci si appresta a preparare una ultramaratona (eh certo, io che ho fatto finora UNA ultramaratona, posso certo avventurarmi in questi discorsi istruttivi e concettuali, tse...).

Avendo iniziato a correre "su strada", così come tanti che in un modo o nell'altro si avvicinano al trail running (migrazione sempre più in espansione, ma questo sarebbe poi un altro discorso) ho sempre avuto lo schema in testa del "più km faccio e meglio è". Per me il problema di passo e velocità non è realmente mai esistito, perchè semplicemente non ho velocità, e dunque il determinare qualche improbabile progresso podistico passava giocoforza da guardare che la tal serata avevo corso 10 km invece che 8, e cose così. E sono andato avanti così a lungo, anche quando ho inziato a correre su sentiero (soprattutto perchè ho continuato pur sempre ad allenermi su strada, fino almeno al mitico Inverno in compagnia del mio Sensei). 

Mettiamola così: su strada viene più facile, data la relativa regolarità e ripetitività del terreno, concentrarsi su grandezze quali minuti al km o km totali percorsi, e così via fino alle più classiche routine di preparazione alle distanze da strada (maratona compresa), che contano di un lungo di tot km ogni tot settimane, o di tot km a tot minuti al km ogni tot di giorni (la sfida della serata è rileggere l'ultima riga 10 volte di seguito...).

Stringendo un po': su sentiero, è tutto un altro gioco. Direte, hai scoperto l'acqua calda. Sì, assolutamente, dico un'ovvietà totale...e però le ovvietà si finisce per comprenderle nel momento in cui le si vive sulle proprie gambe. Così è stato per me. Vuoi per "mancanza di stimoli" a cimentarmi in mega lunghi su asfalto dalle mie parti, vuoi al tempo stesso per la necessità di produrmi in un'uscita lunga più o meno con cadenza settimanale (e soprattutto: su un terreno il più possibile simile a quello su cui si svolgerà SDW - e grazie a San Bryon Powell e al suo tabellone di riferimento), ho cominciato a uscire sui trail qui intorno, senza preoccuparmi - per la prima volta nella mia "carriera" di corsa - di passo al km o di kilometri percorsi a fine giro. Uscire per il piacere di farlo (e ok), ragionare sulla strategia di pacing (di cui ho già scritto), e soprattutto mettere via ore e ore all'aria aperta. Ore di corsa e cammino, ore di tentativi con la strategia alimentare - tutt'ora in corso - ore ad ascoltare corpo e testa, a preparare soprattutto la seconda all'idea di star fuori 50 miglia a mangiar sentieri. Perchè è questo, almeno credo, l'obbiettivo di un percorso di allenamento: la creazione di una condizione di equilibrio psicofisico da poter portare il più possibile dentro la tua sfida, la tua gara o più semplicemente la tua giornata.

Oh intendiamoci, non sto dicendo che lo speed work e cose così non abbiano cittadinanza nel trail running, figuriamoci. Però...però...dico solo che se parliamo di lunghi, giocoforza il tempo che impieghiamo la' fuori assume un ruolo predominante, ripeto, sempre nella mia limitatissima esperienza.

"The slower...the better" è il mio mantra in queste uscite lunghe, perchè per quanto possa sembrare paradossale, imparare ad andare piano diventa decisivo per vedere il traguardo di una ultra (e soprattutto per capire le reazioni chimico-fisiologiche che giungono con il passare delle ore, che si tratti di bonking alimentare o più semplicemente nervoso).

Ecco, appunto, riflessioni a caso figlie di una serata a guardare l'agenda e a scoprire che ne mancano 7, di settimane, a SDW (diciamo, 5 più il tapering). Come dire, adesso arriva l'ultimo mese e mezzo di lavoro pesante, di sudate, e appunto...di ore su sentiero. 

Read you next.

Manu

fueling...
 


1 commento:

  1. E' un buon metodo, che hai ben assimilato anche grazie al tipo di sentieri sui quali corri, a mio avviso. Presto, passerai al metodo 'definitivo': il dislivello.

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