venerdì 31 luglio 2015

GDB50 (failed) attempt report: decide lui.

Eccomi qua, a cercare di buttar giù due cose sul mio (fallito) tentativo sul GDB50.

Breve premessa: il GDB, Giro Della Bionda, consiste di un anello di poco più di 17 km e 400 metri di dislivello, che si snoda sopra Genova in zona Forte dello Sperone, con partenza e arrivo nel Parco del Peralto. Terreno? Semplicemente, c`è tutto: asfalto, single track, strade bianche, creuze e scalinate in mattoncini. 

E´, soprattutto, il primo storico FKT marchiato TerzoRistoro (e fondato dal guru duo Dani-Mazzu), e insomma è una roba sulla quale prima o poi ogni Terzero è tenuto a poggiare i piedi. 

Il mio tentativo: percorrerne 5 giri, per un totale appunto di circa 50 miglia (approssimato per difetto). Perché? Perché sì. 

In più, a farmi da pacer d`eccezione almeno per i primi giri, gente da Terzo, tipo lo stesso Dani e il Barba di ritorno dalle fatiche del blog post-Lavaredo. 

Insomma, c`erano tutti gli ingredienti giusti per portarsela a casa anche stavolta. 

E invece no.

Primo: cosa che vale per ogni percorso in ogni posto in ogni luogo e tempo, ma forse ancora più per il GDB: è il sentiero che decide se tu al traguardo ci arrivi. 

Sì certo, si può discutere di attitudine del runner, di preparazione, e ci sto per arrivare...ma il primato dell`ecosistema che ci circonda ad ogni miglio percorso, resta indiscutibile.

In parole semplici, anche un giro apparentemente "innocuo" a due passi dal mare, può schiacciarci come mosche, se così pare a lui. Ricordarselo sempre, è il primo passo per capire e apprezzare forse ancor di più la transitorietà (e l`inutilità) di questa bellissima cosa che si chiama corsa. 

Dunque in soldoni, quella mattina il GDB aveva già deciso che...niente da fare bambino, torna la prossima volta e riprova. 

Capitolo preparazione: eh...così, pensandoci a freddo dopo qualche giorno, non credo di esserci andato completamente a corto di preparazione. Sí, forse un paio di lunghi in più dalla Primavera a fine Luglio potevano starci, ma comunque avevo ancora nelle gambe fresco di un mese il bagnatissimo Mozart 100, quindi dai: a lunghi ero a posto. 

Per quanto riguarda la temperatura: sì ok, faceva caldo. Non credo che fosse un problema fino a quel punto; magari lo sarebbe diventato più avanti nel corso della giornata, anche se va detto che il GDB non è assolutamente un circuito esposto al Sole, a parte un paio di tratti non troppo lunghi. 

E anche il capitolo "acqua" non è certo una scusa buona, visto che di punti acqua sul percorso ce n`è il numero giusto (e nei posti giusti, una volta "scoperta" la fontana di metà percorso). 

Inoltre, nelle settimane post-Mozart mi ero allenato molto apposta nelle ore più calde della giornata (che da noi vogliono dire 40° fissi) proprio per adattarmi il più possibile alle alte temperature e valutare di quanti-quali liquidi avrei avuto bisogno una volta sul GDB). 

No...no...cosa per davvero è andato storto, è riassumibile in due punti:

Primo: il materiale, cazzo. Scelta sbagliata: pensare di fare il tentativo in modalità "solo", ovvero: portandomi tutto il cibo dietro, quindi: 4 chili di gel Powerbar, più tutto il resto, nel fido zainone Salomon. Avere lo zaino, mi ha costretto ovviamente a indossare un layer (fidatissima e lercissima maglia Aschero 2012) col risultato di cominciare subito a sudare tanto e male. 

Se solo avessi pensato ad utilizzare l`auto come aid station sul percorso, caricandomi solo il necessario nelle tasche dei Nathan, lasciandomi schiena libera e girando in shirtless come piace a me, ecco che la musica forse sarebbe stata diversa (questo vale ovviamente come consiglio per chi nelle prossime settimane o mesi vorrà provare il GDB50). 

Secondo, il più importante: la testa. Semplicemente, non c`ero. 

E non c`ero già dal mattino. Per una serie di motivi vari, vuoi qualche pensiero extra-corsa, vuoi un po`di stanchezza generale, semplicemente mancavano palle e focus sufficienti per buttarsi sul GDB per 5 volte. E senza palle e testa, non si va da nessuna parte, ancor più sul GDB.

E soprattutto, senza cuore, non vai da nessuna parte.

E qui chiudo che vi ho già abbastanza stracciato i maroni: il GDB, come ogni cosa che si sceglie di fare o di correre, va amato. Richiede devozione, rispetto e vero e proprio amore. Ti ci devi buttare davvero con tutto te stesso, e in questo sta forse la sua magia e il suo fascino (per me) irresistibile. 

Non è "un giro" come gli altri, e neppure un FKT come gli altri. E`Liguria, è sudate e birre con gli amici, è discorsi e pensieri sul passato e sul futuro, e pugnalate ai polpacci e vento in faccia...insomma, è Terzoristoro. 

E se per un motivo o per l `altro ti ci presenti senza quel "qualcosa" che devi portarti dentro e che il GDB ti richiede, ne vieni respinto. Con dolcezza o in modo brutale, ma ne vieni respinto. 

Ed è lì allora, che non vedi l`ora di tornarci.

GDB50, see you soon.

Manu

P.s: e comunque, due giri con due grandissimi companeros e amici, è roba che resta sì, nel cuore. Top of the year. 





#Terzosempre

martedì 7 luglio 2015

Gunhild, John e l`arte di arrivare penultimi....

Lo dico subito: visto che a parlare dei primi ci si è rotti le palle, e che gli ultimi saranno i primi, ecc.. ecc.., stasera mi andava di scrivere due righe in tributo a John Corey e all`arte dell`arrivare...penultimi.


Das Beste oder Nichts...


In breve: lo scenario è quello visto e stravisto in questi giorni: la Placer High School di Auburn, il tartan leggendario di quella pista di atletica che vuol dire traguardo della WS (non per tutti, Brian Morrison insegna). 

La vicenda è presto detta: Gunhild Swanson da Laubach (Hessen), taglia il traguardo con 4 o 6 secondi rimasti al cut off della 30 ore. Delirio totale, game, set, match e pure history.

A mio avviso però, il vero eroe di tutta questa storia è tale John Corey. Lui il traguardo lo taglia in 29h 59 minuti e 27 secondi. Una impresa mostruosa. Al confronto, il 29h e 57 minuti di Thomas "Tom" Green dello scorso anno (a proposito, rimettiti presto zio Tom) è una corsetta in relax totale. 

Eppure...eppure mister Corey rischia di passare alla storia come il penultimo meno considerato di sempre (per merito o per colpa - punti di vista - di zia Gunhild).

Ulteriore beffa: Mrs. Swanson ammetterà candidamente di aver sbagliato un incrocio e di essersi fatta un miglio in più. Dunque, senza il suo errore di percorso, sarebbe giunta al traguardo con una decina di minuti di anticipo, passando alla storia comunque come la più "anziana" finisher di sempre, non rompendo le palle a Katie Trent (la più giovane di sempre, che ha chiuso terzultima) e lasciando al nostro eroe John Corey la gloria di essere l`unico e solo show stopper di quest`anno. 

Ma d`altra parte, volsi così cola dove si puote e bla bla...

Considerazione a margine prima di andare a far cena: arrivare ultimi o penultimi, è una cosa di una difficoltà mostruosa. 

Uno dice "beh, ma che ci vuole: vado piano, pianissimo, cammino sempre, cazzo arriverò ultimo no?". Niente da fare. Dai tempi di Malabrocca (che si nascondeva nei fienili) fino al caso estremo (e secondo me pure vagamente antisportivo) di Coledan e Kluge questo`anno al Giro (mi siano perdonati gli insistiti riferimenti al ciclismo, ma trattasi pur sempre di suolo natìo), la letteratura sportiva è piena di racconti su lotte all`ultimo (è proprio il caso di dirlo) sangue per arrivare al traguardo ben dopo che ha cantato la cicciona. 

Ci ho provato anche io una volta, presentandomi ad una ciclo-crono-machecazzoera-scalata in bici, dieci giorni dopo una brutta influenza. Orgogliosissimo per essere arrivato al traguardo in una (credevo) meritatissima ultima posizione assoluta, mi dovetti però arrendere alla solita manica di ciclopensionati nascosti in una qualche trattoria valbormidese. 

Vabeh, la chiudo qui: prima però, un link al video dell`arrivo di John e Gunhild ad Auburn.

https://www.youtube.com/watch?v=hfrv75ybVYM

Dice bene il titolo: The Greatest Western States 100 Finish Ever. 

John Corey uno di noi.

Manu


giovedì 2 luglio 2015

La corsa è inutile - Come elevare la cazzata ad arte nobile.

Allora, rieccoci qui, a neanche due settimane dalla splendida e bagnatissima giornata di Salzburg, a buttar giù di nuovo due cose a caso.





Ma prima, via con premesse ed avvertenze assortite:

1 - Stavolta NON si parlerà di race report, pettorali e gloriose medaglie da finisher, ultra-super-mega distanze e cose del genere. 

2 - Le cose che sto per scrivere NON costituiscono assolutamente una novità, anzi. Certamente c`è chi è venuto prima e ha scritto di più e meglio. Il mio intento dunque è solo quello di parlare delle coglionate che mi passano per la testa, senza fregare diritti d`autore e copyright o roba così. 

3 - C`è in realtà, un "punto di partenza" dialettico-forumistico (madonna come parlo difficile oggi - altro motivo per scoraggiarvi a leggere il resto) al minestrone che seguirà, ovverosia la discussione che si trova a questo link:

http://www.quotazero.com/forum/viewtopic.php?f=82&t=11060&start=320

Il forum in questione è un punto di riferimento per stronzi di ogni specie, alcolizzati impenitenti, bastardi senza gloria e Terzoristoristi; tutti comunque gran persone e grandi runner, e così metto a posto anche il politically correct. 

La discussione in merito è forse la più bella che sia mai apparsa su quel determinato forum, almeno di quelle alle quali in qualche modo abbia partecipato anche io: belle penne tipo il Dani @Body o il Barba Black, cazzate a ruota libera e filosofia da bar nella miglior tradizione Terzoristoristica. Il punto centrale parte più o meno a pagina 8-9, dateci una lettura se ne avete voglia, e magari vi risparmierete pure il presente delirio. 

Bene, direi che con le premesse siamo a posto. 

Dunque mentre la maggior parte dei lettori sarà tornata su Corriere.it a discutere di FMI, default e Grexit, oppure su FB a guardare le fighe (quantomeno i più intellettuali), restiamo ora più o meno in due a discutere (il sottoscritto più UNO che so che legge, perché questo post tutto sommato me lo ha un po`chiesto anche lui - per correttezza non ne farò il nome ma si sappia che oltre ad essere un grande ultrarunner quando ne ha voglia, ama i gatti e la fotografia). 

Ah, ULTIMA premessa, la più importante: potrei iniziare questo post scrivendo una cosa, e concludere sostenendo l`esatto contrario. Non fateci caso.

E allora, via!

La corsa è una cosa inutile. BOOM. Questo più o meno è il mantra che mi ha accompagnato nello scorso Inverno, in lunghe Domeniche trascorse in foresta mentre preparavo la mia prima 50 miglia (la SDW50 di inizio Aprile). 

Pensavo: massì, che mi frega, io vado avanti su questi interminabili sentieri, e non sto facendo nulla per gli altri, per salvare il mondo, per le testuggini delle Galapagos o contro il riscaldamento globale. Letteralmente, la mia corsa NON serve a niente e nessuno. 

Non vengo "pagato" per correre, dunque la mia corsa neppure serve all`economia familiare. 

Non ho sponsor, né "alimentari" né di abbigliamento o cose così (e in un`epoca in cui anche l`ultimo degli imbecilli su FB o Twitter se ne esce con cose del tipo "oggi ho testato la scarpa xy o il race vest yz, quasi mi sento parte di una specie in via di estinzione - e comunque lo ammetto, la mia è invidia del peggior tipo, rosicante - magna gomiti di quelle proprio inestirpabili), e dunque ecco che se c`è una cosa alla quale la mia corsa può servire, è il movimento dell`economia di aziende di gel e/o wafer, così come più banalmente di scarpe. 

Comunque, questo era uno sfogo a parte. Torno dunque immediatamente alla filosofia da bar.

Quando ho provato a scrivere una cosa del genere, intendo il fatto che la corsa sia una cosa inutile, è scattata la bufera (parlo sempre del mio unico lettore, sia chiaro), e magari scatterà anche adesso.

Mettiamola così: l`inutilità può anche essere una cosa bellissima.

"Il mondo" in senso ampio, si muove sempre di più sul concetto opposto: tutto DEVE essere utile. E che cazzo, penso io, se c`è una cosa che ancora può restare splendidamente inutile, bene così. 

Tutto perché il nocciolo del problema si trova quando si arriva al concetto di "allenamento".

Un`altra cosa che ho provato a pensare e scrivere, è l`idea che il giorno che cominciassi ad allenarmi PER qualcosa, finirebbe tutto (consecutio temporum da buttare nel cesso). Altra bufera: e come la metti con i limiti da esplorare, e la gioia dello stare insieme, e le nuove distanze, eccetera eccetera....

A me, così sul momento, viene in mente che tutte le cose appena citate (i limiti e lo stare insieme e tutto il resto) siano assolutamente raggiungibili senza tirar fuori per forza il concetto di allenamento. Mi piace stare alla Pecora Nera con gli amici e i bros del Terzo, così come farmi un`ora e mezza con Ari sul South Downs Way il Giovedì dopo la 50 miglia, e ancora appunto, trascorrere 8 ore sui sentieri e le piste dietro casa a inseguire la bellezza del niente, magari percorrendo stavolta un miglio in più. 

Cos`è allora che manca da questo discorso, cosa connota realmente il concetto di allenamento (ma potrei chiamarla forse, corsa utile?): semplice. La gara. Il pettorale. Il tempo. La medaglia di finisher

Eccola, l`idea di allenarsi PER qualcosa. Ci si allena PER partecipare ad una ultra (o ad una 5k, fa poca differenza in questo caso). Questo è più o meno chiaro. 

Però la domanda sorge spontanea: e se io per un motivo o per l`altro ti levo la possibilità di gareggiare (cose banali: hai un capo stronzo che non ti da libero quel singolo weekend, o magari la moglie che reclama una fondamentale gita all`Outlet di Serravalle), tu (un "tu" immaginario, ma potrebbe anche essere che mi stia rivolgendo a me stesso) cosa fai? Non "ti alleni" più? Non corri più? Vai a vedere le fighe su FB (vabeh, quelle si guardano comunque)? 

Oh, sembra che stia procedendo a caso, ma in realtà scavando nel profondo di tutta questa solfa, un filo conduttore lo si riesce a trovare (e vai con il mio quotidiano anacoluto). 

Cos`è in realtà che determina la nostra corsa? La partecipazione ad una o moltissime gare, o la gioia dell`inutilità? 

E soprattutto: ma perché sto scrivendo sta roba?

Semplice, perché tutti i casi ai quali ho fatto cenno (tranne quello della moglie all`Outlet, lo giuro) sono sovrapponibili alla mia singola esperienza.

Breve, brevissimo riassunto: ai tempi della bici, volevo correre (nel senso del "gareggiare") quanto più possibile. Per la gioia dello stare con gli amici e bla bla...

Poi l`arrivo della corsa, i primi trail, e ancora: cazzo, sta Domenica c`è il chilometro verticale di Roccaverano, DEVO andarci!!!

E poi il grande trasferimento tre anni fa: un salto geografico, culturale e pure "mentale".

Mesi trascorsi a pensare a come avrei fatto, ora che al Chilometro Verticale di Roccaverano non potevo più andare, e a cos`era ora la corsa senza i pomeriggi in faggeta col grande Sensei. 

Una sorta di FOMO (Fear Of Missing Out) nella quale però, e questa è stata la mia prima grande fortuna, sono stato "costretto" a passare, perché semplicemente non avevo alternative (e tuttora devo dire che, se ci mettiamo a discutere su quanto da noi NON si organizzino cose dove ci sarebbero ambienti incredibili per farlo, c`è da stendere un velo pietoso). 

Però...però piano piano ho trovato il modo di guardare oltre confine, di pensare di unire l`idea di un viaggio o di una vacanza (roba per me off limits da almeno 15 anni) alla possibilità di correre in posti nuovi, con gente nuova e in generale in un ambiente e in una comunità tutta da conoscere. E siamo poi a questo`anno: le due 50 miglia inglesi, e la 100k a Salzburg 15 giorni fa. 

E arrivo ad oggi. La mia "stagione agonistica" in senso stretto (pettorali, post Facebook gloriosissimi con tanto di medaglie e T-Shirt) è conclusa. Volevo correre quelle tre, e le ho corse. Volevo divertirmi, e l`ho fatto. Volevo il traguardo, volevo fare nuove amicizie e scolarmi un paio di birre con quelli giusti...bene, l`ho fatto. 

E´stato, da questo punto di vista, un anno buono. E sì, lo ammetto: mi sono perfino "allenato" per arrivare a Eastbourne, Knockholt Pound e Salzburg. Certo direte voi, senza allenamento ti attacchi a fare certe distanze. Vero, verissimo. 

Però...però...(ho quasi concluso eh, tranquilli) in questi giorni per vari motivi mi sono spesso trovato a guardare il soffitto di casa, e a rigirarmi tra le mani le medaglie Centurion, e tra i mille pensieri (tutti positivi ovviamente) ne ho isolato un paio che mi hanno poi dato l`ultima spinta a buttar giù sta roba. 

Primo: ora che la corsa mi ha dimostrato la sua utilità (fatta di "esperienze nuove" come quelle vissute in questi ultimi mesi), che ne è della gioia dell`inutilità e di tutto il resto?

Secondo: per quanto possa sembrare assurdo, oggi l`iscrizione una gara va programmata e pensata quasi con un anno di anticipo: e la entry list, e il feed, e le lotterie, ecc...e se l`anno prossimo però, per un motivo o per l`altro, NON riuscissi a partecipare a qualcosa alla quale tengo o che mi piacerebbe tanto vivere e correre, con che motivazione, con che idea troverei la voglia di uscire di nuovo di Domenica questo Inverno a farmi il culo su una qualche pista in piena foresta?  

Ed ecco l`illuminazione. 

Aspetta un attimo: ma non è che il punto in realtà sta nell`ESSERE, piuttosto che nel FARE, un (ultra)runner. 

Rileggendomi il race report della SDW50, ho trovato un passaggio alla fine nel quale avevo scritto: 

"Prima di addormentarmi però, mi guardo ancora un po´la medaglia Centurion e la bellissima maglietta finisher. Devo ammetterlo, hanno un sapore tutto particolare, indescrivibile. Ce l´ho fatta: sono, di nuovo, un ultrarunner."

Cos`è che determina il nostro essere runner (o ultrarunner che sia): il partecipare ad una certa gara? O piuttosto, il vivere running, ogni singolo cazzo di giorno. 

Nota a margine: sto rileggendo, credo per la terza o quarta volta, lo splendido "Eat and Run" (neppure vi dico chi l`ha scritto, se non siamo a Holy Bible, stiamo poco sopra).

A parte il fatto che ogni volta che ci si passano 10 minuti a sfogliarlo, ci si trova qualcosa di nuovo o di rivelatore, roba che possono permettersi quelli bravi come lo zio Scott.  

Ma la cosa che a me personalmente stavolta è saltata in testa, è l`idea appunto che "runner", stavolta nel senso più ampio possibile, sia uno stato d`animo, prima ancora che una condizione fisica raggiunta tramite l`allenamento. 

Conosco persone (ma per davvero) che non hanno mai partecipato ad una singola gara, e magari neppure mai lo faranno, ma cazzo se sono runner, anzi ultrarunner. 

E poi...running ad esempio può anche essere studio, tantissimo e fottutissimo studio. E´disciplina in un senso quasi "orientale" del termine (vabeh, qui c`è l`influenza dei miei ingloriosissimi passati nelle arti marziali): studio della forma di corsa, del passo, della respirazione, dell`alimentazione e di tutto il resto. 

Come scrissi insomma una volta in una qualche discussione in un qualche forum: a definire il runner, è tutto quello che fa quando non corre. 

Ebbene, io questa cosa la ribadisco, più convinto che mai. (E mettiamola così, la mia vuol essere anche una critica neppure troppo leggera a quelli che ti dicono "eh ma tu come ti alleni?" "eh ma tu avrai i tuoi segreti", ecc ecc...tranquilli, nessuno mi ha mai fatto domande del genere, ma diciamo che so che si fa spesso così.)

E a proposito di runner che per vari motivi non hanno corso o non corrono tuttora:

Consiglio della nonna: andare a leggere con devozione in pezzi di un grande scrittore di ultrarunning, semplicemente AJW, su IRunFar. Il suo anno sabbatico e il suo recupero da un infortunio di natura cronica e tutto il resto. Più invecchia e più migliora, il buon Andy. 

http://www.irunfar.com/2015/01/recoiling-the-engine.html

Poi, e qui davvero cerco un modo per chiudere il tutto: 



Lui, il mio Cinghialone. Ecco, lui, per me, rappresenta il riassunto estremo di tutte le puttanate che ho appena scritto. Non ha corso per un anno, per vari motivi. Poi è tornato (intendo, a gareggiare), con l`entusiasmo di un bambino (e di un Terzoristorista, va da sé) a prenderci a calci nel culo: e minaccia di continuare, eccome.

Mi mancava l`anno scorso, il fatto di non vederlo su un sentiero: ma non per questo improvvisamente aveva smesso di "essere" un ultrarunner. E parliamo di uno che, birre e barbe a parte, ne sa a pacchi veramente, di questa disciplina (vedi il discorso "studio continuo").

Potrei fare altri esempi, ma poi sembrerei il classico paraculo, e non mi sembrerebbe proprio il caso. 

Quello che farò nei prossimi mesi dunque? Facile. Correre (un po`di pausa in queste settimane estive, da Settembre spero poi di tornare a darci dentro sulle piste di cui sopra) e godermela sempre, anzi trovare nuovi modi per godermela di più. E leggere e imparare il più possibile da chi su questi sentieri ci è passato prima di me. 

E poi, SE avrò la possibilità l`anno prossimo di rimettermi un pettorale e andare a rompere culi la fuori (o a farmelo rompere, più probabile), tutte sudate guadagnate. A patto che fine giornata non mi rimettano in mano il the caldo come a Salzburg (e che cazzo va bene tutto, ma il the caldo alla fine di una ultra...aarrghhh!). 

E quindi tornando a bomba a tutto quanto e in conclusione: sì, la corsa è utile, eccome. Non alla pace nel mondo, non alla lotta al riscaldamento globale e neppure alle proprie tasche.

Forse, per quanto suoni paradossale o semplicemente incomprensibile, può invece essere utile a capire quanto sia bella e straordinariamente profonda la sua stessa inutilità. 

Temi comunque sempre da approfondire, da discutere o semplicemente buoni per annegare in una fresca IPA come Terzo comanda. 

Ci si vede sui sentieri. 

Come sempre, on trail.

Manu

P.s: Momento del professorino: "Gunhild" si legge con la "U", non all`ammmerigana! Made in Germany...Das Beste oder Nichts.


QUESTA...è la mia corsa.